Fuori margine
Come si orientano gli animali nello spazio e nel tempo?
Giorgio Vallortigara, Anastasia Morandi-Raikova
Come riescono gli animali (esseri umani inclusi, è ovvio) a ritrovare la strada di casa, stimare la durata di un grido di allarme o interagire in complesse reti sociali? Forse queste capacità eterogenee sono strettamente legate tra loro nel modo in cui funziona il cervello.
Consideriamo, ad esempio, le formiche del deserto Cataglyphis. In un mondo apparentemente monotono, senza punti di riferimento e con il vento che cancella ogni traccia olfattiva, queste piccole creature riescono a tornare alla loro tana dopo aver percorso lunghi tragitti tortuosi in cerca di cibo. E non ripercorrono lo stesso itinerario dell’andata, ma trovano un nuovo percorso diretto e lineare che le riconduce esattamente al punto di partenza. Ma come fanno? Come riescono a non perdersi in un oceano di sabbia, dove tutto sembra uguale?
Le formiche contano i passi e utilizzano il sole come una bussola. Durante il tragitto memorizzano la distanza percorsa e le variazioni di direzione, creando una sorta di mappa mentale che funziona come un navigatore biologico. Lo hanno dimostrato esperimenti ingegnosi: quando la lunghezza delle zampe delle formiche viene modificata durante il tragitto di ritorno applicando piccole protesi, i loro passi diventano più lunghi, inducendole a misurare erroneamente la distanza percorsa. Di conseguenza, cercano la tana troppo lontano, confermando che si affidano al conteggio dei passi per orientarsi. E per il sole? Se spostiamo passivamente le formiche mentre tornano alla tana, queste continuano a procedere lungo la direzione originale, come guidate da una bussola invisibile.
I pulcini di pollo domestico nati da poche ore, quando vengono posti in una scatola rettangolare priva di indizi visivi, riescono a individuare un angolo preciso mettendo in relazione la lunghezza dei lati. Ad esempio, possono imparare che l’angolo premiato è quello con il muro più corto a destra e quello più lungo a sinistra. Questa abilità per la geometria pare essere innata nei pulcini. Ma non è tutto: i pulcini non si limitano a confrontare le lunghezze dei muri, ma riescono anche a mettere in relazione diversi oggetti distribuiti nello spazio. Addestrati in un’arena perfettamente circolare, sono in grado di localizzare il premio – un gustoso verme – usando solo la relazione spaziale tra gli oggetti. Imparano, ad esempio, che “il premio si trova sempre tra la scatola a righe bianche e nere ed il triangolo verde” indipendentemente dal loro punto di partenza. E se gli oggetti vengono ruotati di 90 gradi, i pulcini continuano a cercare nella stessa posizione relativa, come se avessero memorizzato una mappa invisibile, fatta di relazioni spaziali tra gli oggetti.

I pulcini di pollo domestico riescono a mettere in relazione gli oggetti per ritrovare il rinforzo, imparando che, indipendentemente dal punto di partenza, il vermetto sarà sempre nascosto tra la scatola a righe e il triangolo verde.
Ma cosa accade nel cervello quando gli animali compiono queste imprese? Studi condotti sui ratti hanno dimostrato l’esistenza di cellule specializzate, chiamate place cells (cellule di luogo), situate nell’ippocampo. Questi neuroni si attivano e aumentano la loro frequenza di scarica ogni volta che l’animale attraversa un luogo specifico, indipendentemente dalla direzione in cui guarda o si muove. La scoperta di queste cellule da parte di John O’Keefe, ha rivelato come il cervello riesca a costruire una mappa interna dello spazio.

Le cellule di luogo (o place cells), che si trovano nell’ippocampo, aumentano la loro frequenza di scarica ogni volta che l’animale attraversa un luogo specifico.
Qualche anno dopo la scoperta delle place cells, May-Britt e Edvard Moser scoprirono un altro tipo di neuroni: le grid cells (cellule a griglia), localizzate nella corteccia entorinale – un’area situata adiacente all’ippocampo. Tali neuroni organizzano l’ambiente rappresentandolo in una tassellatura regolarissima costituita da esagoni, i cui lati formano i vertici di un triangolo equilatero. A differenza delle place cells, i neuroni a griglia mostrano un’attività diffusa in vari luoghi occupati dall’animale. I picchi di attività neuronale non sono casuali, bensì seguono una geometria regolare. Neuroni diversi disegnano griglie differenti, sfasate le une rispetto alle altre e di ampiezza variabile. Questa geometrica precisione fornisce all’animale la possibilità di calcolare distanze e direzioni mentre si sposta nell’ambiente, creando una vera e propria mappa per codificare le sue posizioni relative all’interno dello spazio.

Le cellule a griglia (o grid cells), localizzate nella corteccia entorinale, mostrano una frequenza di scarica più diffusa ma con una geometria regolare. I campi di attivazione sono organizzati in griglie esagonali.
Meccanismi simili sono stati osservati anche in altri animali, come fringuelli e pipistrelli. Nei pipistrelli la rappresentazione dello spazio non si limita ai propri movimenti, ma si estende anche a quelli compiuti da un compagno sociale. In particolare, sono state scoperte nell’ippocampo cellule chiamate social place cells, che si attivano seguendo il percorso di un compagno, come se l’animale osservatore stesse esplorando attivamente il medesimo ambiente.
Questi circuiti cerebrali, così versatili da rappresentare non solo lo spazio ma anche le distanze sociali, sono alla base di comportamenti complessi. Nei polli domestici, ad esempio, la gerarchia sociale – nota come ordine di beccata, cioè la priorità di accesso al cibo – si basa sugli stessi circuiti che codificano lo spazio. Questa gerarchia non si definisce esclusivamente attraverso interazioni dirette, ma anche tramite deduzioni logiche. Se un pollo perde un conflitto con un individuo dominante e successivamente osserva quest’ultimo perdere contro un terzo pollo, dedurrà che sfidare quest’ultimo sarebbe una battaglia persa in partenza. In questo modo, il cervello costruisce una rete invisibile di relazioni, utilizzando gli stessi meccanismi di mappatura spaziale per ottimizzare le interazioni sociali e ridurre al minimo conflitti inutili.
Una scoperta sorprendente è che queste mappe neuronali non servono solo a esplorare lo spazio fisico, ma anche quello concettuale. Studi di risonanza magnetica hanno dimostrato che l’attività delle grid cells emerge non solo quando ci muoviamo in un ambiente vero o simulato, ma anche quando organizziamo pensieri astratti. In uno studio, ad esempio, fu chiesto ad alcuni partecipanti di associare immagini di un uccello stilizzato, il cui collo e le zampe potevano essere allungati o accorciati, a determinati simboli. I soggetti dovettero quindi imparare un codice a due dimensioni: una per la lunghezza del collo e una per quella delle zampe, da collegare ai vari simboli. Ad esempio, l’uccello con le zampe lunghe veniva associato al simbolo di una bambola, mentre quello con il collo lungo al simbolo di un libro. Durante questo compito, è stato osservato che nella corteccia entorinale dei partecipanti emergeva un segnale simile a quello delle grid cells, lo stesso che si attiva quando ci orientiamo nello spazio fisico. Il nostro cervello, insomma, naviga idee e concetti nello stesso modo in cui si orienta nello spazio. Non è un caso che nel linguaggio usiamo metafore spaziali per descrivere le relazioni: allarghiamo la nostra rete di contatti, saliamo una scala sociale, ci sentiamo vicini o lontani da qualcuno non solo fisicamente, ma anche emotivamente. È come se il cervello utilizzasse gli stessi strumenti, sviluppati per l’orientamento nello spazio, per esplorare e comprendere il mondo dei pensieri.
Infine, sembra che gli stessi circuiti cerebrali che rappresentano le mappe spaziali e concettuali possano anche codificare il tempo. Esperimenti su ratti, impegnati in labirinti con sezioni statiche e altre mobili (come tapis roulant) hanno rivelato che alcune grid cells si attivano per tutta la durata in cui l’animale rimane fermo in un punto, registrando il passare del tempo in modo simile a come registrano le distanze nello spazio.
È affascinante pensare che il cervello riesca a intrecciare spazio, concetti, relazioni sociali e tempo in un’unica e complessa rappresentazione del mondo. Lo studio della mente animale ci svela che, sotto la superficie delle nostre capacità cognitive più complesse, esistono meccanismi condivisi e assai antichi. Queste creature, con cervelli spesso minuscoli, ci insegnano che il mondo non è solo ciò che vediamo, ma una rete intricata di relazioni e significati. Come scrisse Antoine de Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Per comprendere davvero la nostra mente dobbiamo imparare a navigare in profondità quelle degli altri animali.