Aboca Post
< Torna a tutti i post

Tra le righe

27 Febbraio 2025

Per una nuova idea di salute

Nicola Gardini

È il momento di rivoluzionare l’idea corrente di salute: non è l’opposto della malattia, non riguarda solo il funzionamento del corpo, non è unica nel corso di una vita. È una questione civile e politica, non soltanto privata. E, soprattutto, va raccontata. Con l’aiuto dei medici.

Dobbiamo rinnovare la nostra idea di salute. Tutte le nostre idee fondamentali hanno bisogno di rinnovamento, perché il pensiero umano cerca di continuo un grado superiore di felicità, e nessuna definizione è mai definitiva. Dunque, neanche nessun rinnovamento sarà mai ultimo, perché il nuovo non può restare nuovo in eterno. Questo, tuttavia, non deve indurci a credere il vecchio una necessità fatale e costringerci ad accettarlo di per sé. Nessuna società democratica può crescere fatalisticamente. Solo un rinnovamento continuo sarà la risposta.

Le nostre idee cambiano. Devono cambiare.

Non sto parlando di un’ipotesi astratta dell’intelletto. Sto toccando una questione concreta; una faccenda civile e politica, che già si delinea fin dai primi anni di vita nella vita familiare, dove si riceve una prima istruzione sui valori e sui significati. Io per anni ho pensato che la salute fosse il contrario della malattia, perché così mi insegnava la mamma, prima protettrice del mio benessere fisico, e che la salute fosse uno stato primigenio da dover mantenere a tutti i costi, con grande senso di responsabilità, come un tesoro che si fosse ricevuto per magnanima concessione della sorte. Con gli anni, con le esperienze, con l’esercizio della cura (sia di me stesso sia degli altri), ho capito che “salute” significava molto di più. E ci stavano dentro il corpo e l’anima, l’io mio e quello degli altri, il rapporto con il medico e quello con me stesso, l’azione e la parola, la mia storia passata e quella ancora da scrivere.

Le società stesse in cui viviamo sono soggette a trasformazioni inarrestabili – del comportamento e della mentalità – per effetto dei più vari fattori, in primis quelli tecnologici ed economici. Sotto i nostri occhi ogni giorno si riformano anche i concetti più assodati. Pensiamo solo a quali e quante modifiche accadono nella sfera dei rapporti amorosi e nella definizione dei ruoli e degli orientamenti sessuali. La stessa idea di identità è messa in discussione. E così quella di nazione. Quella di straniero. Quella di famiglia… E ciò accade perché sempre più zone dell’esperienza si rivelano degne di osservazione e di considerazione, e alla fine, entrando a pieno diritto nel quadro dei riferimenti obbligatori, modificano i rapporti tradizionali e ne creano di ulteriori, che o si aggiungono agli altri o in parte li rimpiazzano, e quel che sembrava permanente e sicuro e incontestabile appare ormai relativo e passeggero. Tutto è provvisorio e vale solo fino al giorno in cui altro non dimostrerà di valere di più, valendo di più in virtù del semplice fatto di assicurare un maggior grado di felicità agli individui e alla comunità.

Salute non è il contrario di malattia

Le cose cambiano in meglio non quando si definiscono vicendevolmente per opposizione, ma quando creano ciascuna relazioni complesse con l’intero sistema. Dobbiamo diffidare del paradigma del conflitto (vita/morte, uomo/donna, bianco/nero, giovane/vecchio), su cui da secoli organizziamo non solo il pensiero, ma categorizziamo anche la varietà del mondo, con la tendenza a fare del secondo termine, nella pratica sociale, un concetto negativo (donde la misoginia, il razzismo e molte altre forme di discriminazione). A non è A in quanto non B, ma è A in quanto sta con B e con C e con D e via dicendo. Ciascun elemento del sistema stabilisce relazioni multiple con tutti gli altri, o con la maggior parte degli altri, ovvero partecipa a un tempo alla totalità del sistema e si mantiene in equilibrio con il contribuire all’equilibrio generale. Prendete pure il termine “sistema” per sinonimo di “vita”; e anche per quello di “armonia”. Noi dobbiamo sempre proteggere e aiutare la vita, cioè il complesso delle relazioni, l’interdipendenza delle parti, dove il “tutto” è costituito dai “tutti”.

“La salute è un’intenzione, ce la diamo via via”: Nicola Gardini in video.

Se accogliamo questo modello, che potremmo chiamare il modello della pluralità armoniosa, la salute smetterà immediatamente di rappresentare il termine antitetico di malattia, con cui fin dalla notte dei tempi costituisce un’antitesi. Allora faremo sì che anche un malato possa avere salute; e ci accorgeremo che un sano non ne ha necessariamente una. “Salute” è per ciascuno di noi “voler appartenere al sistema”; “stare nell’armonia”. E questo si farà con la volontà e con il sogno, con la determinazione e con gli ideali, con la solitudine riflessiva e con l’interazione sociale. In salute è chi vuole crescere ancora, nonostante le difficoltà, per quanto ancora sia possibile, giorno per giorno, passo passo, fino all’ultimo respiro, quando anche la fine sarà un traguardo e non un’interruzione. Salute è apertura agli altri; senso dell’amicizia; collaborazione. Amore. Non la malattia, ma la mancanza di amore è la prima negatrice della salute – dove per amore intendo la volontà e la capacità di appartenere all’armonia.

La salute è un progetto che dura tutta la vita

Distinguiamo il concetto di “salute” da quello di “sanità”. Quest’ultimo è standardizzato dalle regole, dai protocolli, da principi generali. Il primo, invece, è personale; è mio e basta: nessuno ne ha ancora parlato, non si trova fissato in punti in alcuna normativa. La salute, infatti, è tante saluti; ognuno ha la sua, e ognuno ne ha più di una nel corso della vita. Ognuno, secondo il momento, si creerà la sua, sano o no che sia. La salute, infatti, è un progetto, al quale ciascuno dedica – o dovrebbe dedicare – tutta la sua vita, che questa termini presto o no, in una malattia o no. Nessuno perde la salute. Nessuno ritrova la salute. La salute è sempre cosa nuova, è sempre “trovamento”. Questo succede sia quando si è sani sia quando si è malati. La persona cosiddetta sana non è – l’ho detto – in salute per definizione. Lo sarà solo se vuole essere in salute: se si impegna a stare costantemente nell’armonia. E la sua salute cambierà negli anni, secondo l’età, secondo le avventure della sua coscienza, secondo le esperienze che le capitano. Lo stesso vale per la persona malata.

La persona malata resta una persona con una sua salute.

Neppure la diagnosi di una malattia grave come un cancro significa fine della salute. Scoperta la malattia o subendo i sintomi della malattia, certo, la persona dovrà cercare un’altra salute. Tuttavia, non ha perduto la salute una volta per sempre. Una salute decade per fare posto a un’altra salute. Occorre molto impegno mentale e occorrono il sostegno degli altri, i familiari e gli amici anzitutto, ma anche i medici. Il sostegno deve esplicarsi nella forma del credito: la persona malata resta una persona; le va, pertanto, ancora riconosciuto il diritto di scegliere per sé. Tutto quello che faremo per lei sarà fatto perché resti lei padrona della sua vita; perché la sua libertà e la sua dignità non siano calpestate. E, quando e se lei non potrà più, sceglieremo noi per lei nel rispetto della sua integrità e dei suoi valori.

Come possono aiutare i medici?

I medici, oltre ad assicurare le terapie più utili, possono aiutare in due modi essenziali: 1. provvedendo all’eliminazione del dolore fisico; 2. aiutando la persona a raccontarsi. Al trattamento del dolore fisico, che limita gravemente le forze sia fisiche sia mentali della persona e dunque la sua libertà e la sua dignità, bisognerebbe dedicare una riflessione separata. Qui mi soffermerò sul secondo aspetto. La ricerca di una nuova salute è operazione fondamentalmente narrativa, così come è fondamentalmente narrativa tutta la nostra vita: noi, infatti, ci raccontiamo continuamente a noi stessi e al mondo (l’armonia esiste e può esistere in gran parte proprio nella forma di parole), e proprio per questo riteniamo di avere una vita. Quando ci si ammala, il primo effetto della malattia, avvertita dal nostro corpo o anche solo percepita come diagnosi, non è l’impressione che all’improvviso non abbiamo più nulla da raccontare? Nemmeno la notizia della malattia ci sembra di voler o poter dire, come se la malattia cadesse fuori del nostro racconto. Invece, gli appartiene; gli deve appartenere. Il racconto, infatti, deve andare avanti, perché la nostra vita vada avanti. Dobbiamo solo capire che la storia d’ora in poi seguirà un altro percorso. In fondo, era alquanto presuntuoso credere che la storia – la nostra storia – sarebbe sempre andata come era sempre andata. Non dobbiamo buttare quel che già abbiamo detto: dobbiamo includere nel racconto qualcosa che non avevamo previsto e che si mostra ancora ignoto e minaccioso, e che getterà una luce rivelatrice anche sulla storia già narrata.
Anche grazie alla collaborazione del medico, narrarsi elimina il senso di minaccia, perfino quando la malattia non ammette guarigione; rimette d’accordo il nostro passato e il nostro futuro. E, poiché il futuro esiste solo nella forma del desiderio (speranza, aspettativa, illusione), noi dobbiamo tenere vivo il desiderio; vivremo ancora perché desidereremo, perché saremo ancora e nonostante tutto “esseri desideranti”. Quando torniamo padroni della nostra storia, ritorniamo padroni della nostra vita; ritorniamo in salute. Sarà una nuova salute, certo. Ma, come abbiamo detto, la salute è sempre nuova, anche quando sembra che siamo tornati a essere quelli che eravamo prima della malattia. Non è mai così, neppure dopo un raffreddore: la coscienza di noi stessi, dopo una qualunque esperienza, sarà comunque modificata, e se non ne abbiamo coscienza – se cioè non siamo coscienti dei cambiamenti della nostra coscienza –, sarà ben difficile che ci manteniamo in salute. Questo metodo si rivelerà tanto più utile nei casi di malattie gravi. Dove, infatti, non potranno arrivare le chirurgie e i farmaci, là potrà arrivare il nostro racconto: il racconto che il medico ci avrà aiutato a costruire, rendendoci consapevoli di quel che ancora vogliamo e possiamo fare.

Ma i medici sono all’altezza di un tale compito? Alcuni lo sono più di altri, perché hanno la sensibilità e l’intelligenza necessarie. Serve, comunque, una formazione per tutti, che si basi sull’interpretazione dei grandi libri di prosa e di poesia e fornisca una rigorosa preparazione retorica e stilistica. Serve linguaggio: parole, frasi, trame. Serve la capacità di riconoscere le metafore e di farne uno strumento terapeutico. Le parole della persona malata, infatti, arrivano, oltre che nella forma di fatti, anche in quella di immagini e di espressioni figurate, che racchiudono sensi e messaggi riposti. Il medico dovrà stimolare il narratore a diventare consapevole di quei sensi e di quei messaggi, a svilupparli, perché dallo spazio dell’implicito salgano a quello del vissuto e dell’intenzione. Questo ruolo avrà il vantaggio di rendere più creativo il lavoro del medico, e anche quello di dargli la gratificazione poetica che lo aiuti a svolgere felicemente la sua importantissima professione e a migliorare la sua stessa vita.

Copyright © 2025 Aboca Edizioni. Tutti i diritti riservati