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Tra le righe

10 Ottobre 2025

L'estratto

Luna nostra che sei nei cieli

Di Rebecca Boyle

Novembre 1943. La conquista di un atollo del Pacifico meridionale dipende dalla marea, che a sua volta dipende dalla Luna. Perché, allora, centinaia di marines morirono nella battaglia di Tarawa?

La risposta a questa e a tantissime altre domande sulla nostra storia è una sola. La Luna ha sempre avuto un ruolo cruciale in tutto ciò che ci riguarda: evoluzione, migrazioni, riproduzione, maree, guerre, agricoltura, conquiste spaziali. E anche religione, filosofia, scienza, poesia. La Luna influisce sulla nostra fisiologia e sulla nostra psicologia, e ci ha anche insegnato a leggere l'ora.

Ma la conosciamo abbastanza? Ora uno straordinario libro della giornalista americana Rebecca Boyle racconta la storia del rapporto fra il satellite e la civiltà umana. E spiega per la prima volta l'importanza della Luna per il pianeta Terra e per chi lo abita.

La Luna fu la chiave. 

Il tenente colonnello David Shoup, un marine trentanovenne dalle guance rosse, in azione su una barca che sfrecciava nella notte nera del Pacifico, era in apprensione per la Luna. Non si vedeva ancora: all’ultimo quarto, in fase calante, si sarebbe levata sull’oceano a mezzanotte. Anche quando la Luna non è visibile esercita una potente influenza sulla Terra.
Shoup sapeva che le barche dei marines hanno bisogno di almeno un metro e mezzo d’acqua per galleggiare sulla barriera corallina dell’atollo di Tarawa, un triangolo di terra disabitata nell’oceano Pacifico meridionale. Oggi Tarawa è la capitale della nazione di Kiribati, ma il 20 novembre 1943 era stata la prima tappa del piano degli Alleati per sconfiggere l’impero del Giappone. La conquista della piccola isola e della sua pista di atterraggio dipendeva dalla marea, che, a sua volta, dipendeva dalla Luna.
Gli alleati che organizzavano le azioni avevano programmato l’invasione per la mattina del 20 novembre, quando ci si attendeva che l’alta marea sovrastasse la barriera corallina che circonda Tarawa. Senza misurazioni satellitari, gli organizzatori potevano solo fare ipotesi sulla crescita del livello del mare per quel giorno. 

Avevano analizzato il ciclo lunare sulle carte delle maree del Pacifico, vecchie di un secolo, che erano l’unico strumento di cui disponevano, integrando i report con dati più recenti relativi a luoghi lontani come l’Australia e il Cile. Avevano stimato che l’alta marea avrebbe raggiunto un metro e mezzo alle 11:15 del mattino, un’altezza sufficiente per il transito delle navi più voluminose. Per Shoup, però, questa profondità era ancora troppo di misura.
“Dovremo scendere in acqua mentre le mitragliatrici ci sparano addosso”, aveva detto a Robert Sherrod, corrispondente di “Life”, che affiancava le truppe nelle manovre, “altrimenti [i trattori anfibi] dovranno fare la spola tra la spiaggia e la parte terminale della piattaforma. Dobbiamo calcolare con precisione l’alta marea in modo che le barche di Higgins possano farcela”.
Nelle ore prima dell’alba, mentre i comandanti erano in affanno, mio nonno, il soldato di prima classe John J. Corcoran, era impegnato nello svolgimento del suo compito sull’isola di Nanomea, circa 800 chilometri a sud-est. Durante la Seconda guerra mondiale era stato un piccolo ma importante elemento all’interno della più grande armata schierata nel teatro del Pacifico. 

Jack, come molti giovani americani che si erano ritrovati nel bel mezzo della guerra, si era arruolato con entusiasmo ed era pronto a combattere, equipaggiato di fresco con un fucile, una baionetta e una paga del corpo dei marines. Guadagnava 6,40 dollari al mese e aveva acquisito le competenze per rifornire gli aerei di bombe. Nel settembre 1943, a diciassette anni, invece di andare al college, Jack si era imbarcato sulla nave da trasporto Puebla, salpando da San Diego verso ovest, attraversando il profondo e intrigante Pacifico, le cui acque non avevano nulla a che vedere con il grigio Atlantico che conosceva così bene. Nel novembre 1943, si era allontanato da casa più di chiunque altro nella sua cerchia familiare, compresi i genitori emigrati dall’Irlanda. 

Photo Finish: The Battle of Tarawa: Veduta aerea di Betio, atollo di Tarawa, 24 novembre 1943, in direzione nord verso “The Pocket”, l’ultimo luogo di resistenza giapponese. Immagine: foto del National Museum of Naval Aviation della U.S. Navy.

Le truppe che vennero ammassate per la conquista di Tarawa superavano di gran lunga le forze giapponesi che avevano attaccato Pearl Harbor e quelle alleate che avevano trascorso sei mesi nel fango e nell’afa per mettere in sicurezza l’isola di Guadalcanal.
Il corpo dei marines, dirigendosi verso l’atollo, forniva copertura alle navi degli alleati; il generale Julian Smith aveva garantito che la Marina avrebbe compiuto “la più vasta azione di bombardamenti aerei e di cannoneggiamenti navali nella storia della guerra”. Mio nonno contribuì a rifornire le novecento tonnellate di ordigni che gli Alleati sganciarono durante la battaglia di Tarawa, liberando il campo per l’invasione.
Nonostante tutto questo, la battaglia di Tarawa registrò le peggiori perdite nella storia del corpo dei marines, se paragonate a uno scontro di così breve durata. Dei 5.000 uomini che assaltarono la spiaggia, 1.115 furono uccisi e quasi 2.300 furono feriti in sole settantasei ore di combattimento.
La mattina del 20 novembre la marea non si alzò di un metro e mezzo. Non si alzò quasi per niente e le navi da trasporto non riuscirono a oltrepassare la barriera corallina, proprio come aveva temuto Shoup. Alle 6:48 ora locale, Smith e un ammiraglio contattarono via radio un pilota che sorvolava la zona con il suo aereo. Gli chiesero: “La barriera corallina è coperta d’acqua?”. La risposta fu negativa. Così, i marines dovettero scendere dalle loro barche spiaggiate e guadare per 600 metri l’acqua fino a riva, tenendo i fucili sollevati sopra la testa. Sotto il fuoco incessante delle forze giapponesi, centinaia di marines vennero uccisi e alcuni annegarono nell’acqua alta che circondava la barriera corallina. Ci sono voluti decenni prima che qualcuno capisse perché quel giorno la marea, rossastra per il sangue dei caduti, non si era alzata. 

Da piccola ho sentito mio nonno raccontare solo un paio di storie sul suo periodo di servizio militare durante la Seconda guerra mondiale; come molti veterani, non amava parlarne. Consultando gli Archivi Nazionali, ho appreso che la sua unità, il Marine Aircraft Group-31, passava oltre le postazioni degli uomini in prima linea, spostandosi via via nelle terre conquistate per predisporre i bombardamenti da eseguire nelle fasi successive della battaglia nel Pacifico. Grazie ai racconti di mia madre, sono venuta a sapere che Jack, mio nonno, non riusciva a dormire nelle buche scavate sotto le tende e quindi, passando da un’isola all’altra, recitava il rosario, per non cadere in preda al terrore. Devoto cattolico, insegnava le preghiere del rosario ai suoi compagni della marina. “Ave o Maria, piena di grazia” ripeteva, cercando di sovrastare le urla di chi profetizzava in un inglese stentato “Gli americani moriranno!”. Quando ero bambina, le storie delle minacce urlate dai giapponesi, simili a fantasmi vaganti nel vento notturno, mi gelavano fino alle ossa. Avrei voluto chiedere di più al riguardo. E avrei voluto poter rivelare a Jack, prima che morisse nel 2010, che la colpa delle perdite subite dai marines a Tarawa era stata della Luna. 

Come le forze gravitazionali della Luna e del Sole influenzano le maree oceaniche della Terra.
Immagine a cura di Oleksandr Pokusai.

Ogni giorno, su tutte le coste della Terra, la marea cambia il punto di incontro tra il litorale e il mare. Nel corso di una giornata, le barche ormeggiate ai moli di un porto si sollevano e si abbassano di continuo. Le spiagge si allargano e si restringono, in questo modo le alghe, le conchiglie o altri residui oceanici trascinati dalla marea che si ritira restano nella sabbia ad asciugare, lontano dallo sciabordio delle onde.
Le maree si muovono e fluiscono a causa della gravità lunare e anche, in misura minore, dei movimenti del Sole. Quando la Luna si sposta intorno alla Terra, i due corpi si attirano l’un l’altro. Il lato della Terra più vicino alla Luna è soggetto a un’attrazione più forte, pertanto la Luna richiama l’acqua verso di sé, andando a creare due rigonfiamenti negli oceani del mondo. Il rigonfiarsi del mare produce l’alta marea, che nasce nell’oceano e avanza verso le coste. Due volte al mese, anche il Sole ha un effetto sulle maree. Quando è allineato con la Luna, causando il fenomeno della Luna piena o Luna nuova (che resta invisibile), la gravità esercitata dal Sole amplifica l’effetto dei rigonfiamenti. Si formano in questo modo le cosiddette maree di primavera, che producono un livello più alto di alta marea o un livello più basso di bassa marea.
Sette giorni dopo, quando la Luna non è più allineata con il Sole ma distanziata da un angolo di 90 gradi, appare mezza piena. Lo chiamiamo primo quarto o ultimo quarto. La gravità del Sole ha un impatto minore sulle maree e produce la cosiddetta marea di quadratura (o marea morta). In questo momento del mese le alte e le basse maree sono meno pronunciate. 

Anche la geografia della Terra gioca un ruolo nella modalità in cui si formano le maree. I continenti modificano il flusso delle maree e pure la profondità di una costa cambia la velocità con cui la marea sale o scende. Persino la posizione della Luna nell’orbita intorno alla Terra modifica la sua attrazione gravitazionale. La Luna, come tutti i corpi celesti, non procede lungo un cerchio bensì lungo un’ellisse, cosa che, come vedremo più avanti, abbiamo imparato da un astronomo tedesco del XVII secolo profondamente affascinato dalla Luna. Il punto della sua orbita in cui è più lontana dalla Terra è noto come apogeo, mentre il punto in cui è più vicina è noto come perigeo. Tre o quattro volte all’anno il perigeo coincide con la Luna piena, che gli astrologi, nella prima parte del XXI secolo, hanno ribattezzato “superluna”. La maggiore vicinanza della Luna produce maree eccezionalmente alte e basse. La Luna più lontana, all’apogeo nel cielo notturno, appare leggermente più piccola ed esercita un’attrazione più debole – è la cosiddetta micro-Luna. Anche una Luna lontana esercita comunque una potente influenza sulla Terra. 

I marines pianificarono l’invasione durante una marea di neap (piccola marea, marea di quadratura, marea morta) e non riuscirono a capire perché, durante quasi due giorni, la marea non solo non salisse abbastanza ma addirittura non salisse affatto. Si era trattato, come la definirono poi i cronisti di guerra, della dodging tide (una marea di quadratura con un livello minimo di escursione tra alto e basso), che formò un sottile strato d’acqua sulla barriera corallina di Tarawa perché la Luna era all’apogeo e la sua forza d’attrazione era debole, a causa della lontananza dalla Terra. Il 20 novembre fu uno dei due soli giorni del 1943 in cui si verificò una marea di quadratura con Luna in apogeo. Prima dell’era dei satelliti, e di sicuro prima che i marines conquistassero l’isola e ne rilevassero le coordinate geografiche, i pianificatori militari americani non avevano modo di sapere quanto l’allineamento lunare avrebbe influenzato le maree di Tarawa.
Nonostante la carneficina, i marines continuarono a sbarcare e le bombe a cadere. Dopo tre giorni di combattimenti, il livello dell’acqua finalmente salì e i marines conquistarono l’atollo, ma la devastazione era completa. Gli americani in patria erano indignati e si chiedevano perché la presa di un’isola così piccola avesse potuto provocare un tale numero di vittime.
L’unità di mio nonno arrivò a Tarawa la notte di Capodanno del 1943. In quel momento gli Alleati controllavano l’isola e i Navy Seabees avevano rimosso dalle spiagge i corpi dei soldati e i tronchi delle palme cadute. Il soldato semplice Corcoran proseguì nel suo lavoro, equipaggiando gli aerei con le bombe per preparare la fase successiva del piano del Pacifico. La Luna era di quattro giorni quando spuntò sull’atollo martoriato. La sera, stava appesa al cielo come una scimitarra, come una falce, come corna di toro. Era così piccola che potevi non notarla, fino a quando non ti appariva all’improvviso. 

Rebecca Boyle, giornalista e autrice del libro “La nostra luna”.

Le maree e le battaglie sono solo una parte della nostra storia e di quella della Luna. Il ruolo della Luna nella Seconda guerra mondiale è solo una piccola parte del viaggio che abbiamo fatto con lei da quando è nata la nostra specie.
La Luna ha plasmato i nostri condottieri e le loro conquiste fin dai primi giorni della civiltà, ma il suo potere su di noi è molto più antico, ben più remoto dei nostri conflitti. La sua influenza risale alle origini chimiche del pianeta e a tutto ciò che, sulla sua superficie, striscia, svolazza, nuota o si protende verso il cielo. La Luna ci guida tutti dalla volta celeste. Non è comunque separata da noi, perché in realtà è una parte della Terra. Si è staccata dalla Terra quando il pianeta si era da poco formato. La sua orbita ellittica non gira tecnicamente intorno alla Terra, almeno non nel modo in cui si potrebbe pensare. È vero invece che la Terra e la Luna orbitano l’una intorno all’altra, ruotando su un centro di gravità comune che guida entrambe e influenza la loro storia condivisa.

Oggi la Luna influisce sulle migrazioni, la riproduzione, i movimenti delle foglie delle piante e forse anche il flusso del sangue nelle nostre vene. Dirige la sinfonia della vita sulla Terra, dagli uomini che si fanno la guerra tra loro, ai polipi del corallo che costruiscono la barriera corallina di Tarawa. Guida l’evoluzione fin dalle prime manifestazioni della vita, avvenute all’interno di bocche profonde dell’oceano o in piccole pozze d’acqua calda sulla battigia: in entrambi i casi il nutrimento dipende dalla marea condizionata dalla Luna.
La Luna rende la Terra unica, certamente nel nostro sistema solare, e forse nell’intero cosmo. Ci ha reso ciò che siamo, in tanti modi che gli scienziati stanno iniziando a capire solo ora, dalla nostra fisiologia alla nostra psicologia. Ci ha insegnato a leggere l’ora, sistema che usiamo per mettere in ordine il mondo. La Luna ha ispirato i progetti umani in materia di religione, filosofia, scienza e scoperte.

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