Aboca Post
< Torna a tutti i post

Tra le righe

16 Luglio 2025

L'approfondimento

Chi ha inventato i sentieri turistici

Di Franco Faggiani

Negli ultimi anni la fascinazione per la montagna e la riscoperta del cammino hanno avuto, tra le varie conseguenze, quella di spingere l'overtourism anche in aree naturali da proteggere e sempre più in alta quota. Ma la passione per i percorsi turistici immersi nel verde non è nuova: Franco Faggiani lo racconta in uno dei capitoli di Verso la libertà con un bagaglio leggero, il suo nuovo saggio dedicato all'andare per sentieri, di cui pubblichiamo un estratto.

Da molto tempo – nessuno se ne avrà certo a male, anzi, un rompiscatole di meno – ho scelto di non percorrere i sentieri turistici, ma ribadisco i pieni diritti di chi vuole farlo. Li evito non per snobismo, per la loro facilità o per le finalità che ognuno attribuisce loro, ma perché queste due caratteristiche in particolare li rendono, specie in alcuni periodi dell’anno, eccessivamente frequentati. E l’eccesso non aiuta mai a mantenere in buona salute il sentiero e l’ambiente circostante, per quanto benemerite amministrazioni locali e soprattutto volontari si diano da fare per una periodica manutenzione. Le cronache estive dei giornali sono ricche di articoli che raccontano di parcheggi selvaggi fin sugli argini e sui prati – e in quanto tali irrispettosi del lavoro dei contadini, di file se non addirittura di autentici intasamenti pedonali sui sentieri (tanto che si sta facendo largo l’idea di far pagare un biglietto di percorrenza, chi dice per fare selezione, chi sostiene per fare cassa), di litigi per accaparrarsi un fazzoletto panoramico di terra su cui fermarsi, di estemporanei campeggi vietati, di preziosa vegetazione distrutta dal calpestio fuori rotta, di rifiuti disseminati ovunque. Su questi temi da anni ci si confronta, si dibatte, si discute, si protesta, ma spesso tutto rimane immutato. 

Alcune fotografie di Franco Faggiani pubblicate nel libro “Verso la libertà con un bagaglio leggero“.

Lo scopo del sentiero turistico è stato chiaro fin da subito, ma chi lo ha “inventato”? Mi incuriosisce sempre risalire alle origini delle cose e delle idee che poi hanno preso forma. La risposta mi era arrivata da un piccolo quadro esposto in una galleria d’arte parigina. Raffigurava una scena di una chasse à courre, una caccia a inseguimento, metodo venatorio in cui volpi, cinghiali, daini e altra grossa selvaggina residente nella foresta venivano prima fiutati e poi tallonati da mute di segugi, seguiti a loro volta da cavalieri che avevano solo il compito di assistere all’assalto finale della preda da parte dei cani. Nel piccolo quadro, in lontananza, dietro le groppe rotonde dei cavalli e oltre una radura erbosa, si intravedeva il Castello di Fontainebleau. Oggi intorno alla cittadina francese che si trova a una settantina di chilometri a sud-est di Parigi (dalla Gare de Lyon ci si può arrivare comodamente in treno in circa un’ora) si estende l’omonima foresta – gestita dal demanio forestale francese e considerata dall’Unesco Riserva mondiale della biosfera – vasta circa 25.000 ettari, compresa la parte non strettamente demaniale. Nel tempo la foresta, oltre che da animali predati come cervi e daini e da animali inseguitori come cani e cavalli, tutti capaci di incidere il terreno con un fitto reticolo di sentieri, è stata frequentata da un crescente numero di amanti della natura provenienti dalla vicina Parigi, e soprattutto da schiere di pittori che si installavano per molti mesi nei villaggi della zona per poi immergersi nella natura, per riprodurre su tela il realismo dei boschi, delle rocce, dei corsi d’acqua. Il gallerista, visto che è sua materia, mi aveva citato, tra tutti, Pierre-Auguste Renoir, uno dei grandi impressionisti che a un certo punto della sua carriera, stufo della vita nel chiuso degli atelier, aveva deciso di traferirsi, insieme ad altri illustri colleghi, a Chailly-en-Bière, dove visse anche Claude Monet, per poter lavorare en plein air, nelle prime radure all’interno della foresta. L’espressione en plein air, che oggi si usa accompagnare a qualsiasi attività all’aperto, fu coniata proprio in quell’occasione, nel desiderio di quegli artisti di dipingere alberi, campi, colori, luci standoci fisicamente nel bel mezzo. Si cominciò a capire, anzi ad avere le prove, che passare il tempo totalmente immersi nella natura dava maggiore energia alla creatività. Artisti di fama attirarono discepoli, seguaci, curiosi, galleristi, pittori dilettanti e sembra, stando alle cronache dell’epoca, che già alle prime luci dell’alba nelle radure della foresta ci fosse un gran via vai di gente in cammino, con carretti spinti a mano o tirati da un pony con le attrezzature per dipingere, in cerca delle postazioni migliori per fissare su tela i colori del mattino, le brume autunnali, le fioriture effimere sostenute dalla rugiada.  

Pierre-Auguste Renoir influenzò anche uno dei suoi figli, Jean, che divenne regista e che sul fiume Loing ambientò pure un paio di sue opere, La ragazza dell’acqua, film muto del 1924 e Una gita in campagna, del 1936, tratto dal racconto Una scampagnata di Guy de Maupassant, che dell’andare per sentieri aveva fatto quasi una religione. 

Jean-Baptiste-Camille Corot, Forest of Fontainebleau, 1834.
Immagine digitale concessa dalla National Gallery of Art, Washington D.C., con licenza Creative Commons Zero (CC0).

In uno degli altri piccoli paesi al confine con la foresta, Barbizon, a metà dell’Ottocento si era creata una vera e propria comunità artistica stabile, che aveva dato vita a una corrente di realismo paesaggistico, la Scuola di Barbizon, e Barbisonniers furono chiamati coloro che la animarono. L’impatto culturale sul selvaggio territorio fu talmente intenso, forte, che la foresta fu dichiarata, nel 1848, Riserva artistica. Questo non fece altro che far aumentare il numero dei visitatori, che tracciarono sentieri da un paese all’altro, per star dietro ai loro beniamini. Creando già allora problemi ambientali, come denunciò proprio in quegli anni, precisamente nel 1872, la scrittrice francese Amantine Aurore Lucile Dupin, meglio nota con lo pseudonimo di George Sand, nel suo breve ma inteso libretto edito in Italia da Pagine d’Arte nel 2008, dal titolo La foresta di Fontainebleau, “che non è solo bella per la vegetazione”, scrive, “ma dove il terreno ha dei movimenti di una grazia e di un’eleganza estreme”. 

Oggi in questa estesa foresta ci sono circa 500 chilometri di sentieri, di varie lunghezze, adatti a camminatori esperti o ai primi passi, a comitive di pensionati con libri o cavalletti e colori nello zaino e a famiglie con bambini, a botanici, entomologi o semplici camminatori desiderosi di percorrere qualche salutare chilometro tra i boschi. I sentieri disegnano linee semplici perché il territorio è privo di dislivelli (144 metri è l’altezza massima) e offrono un campionario della natura davvero unico, tanto che tutta l’area boschiva è stata definita ‘la sintesi di tutte le foreste’. Reali e immaginarie. Il paesaggio non è certo più quello di un tempo; gli alberi, il clima, le acque e anche una gestione oculata dell’uomo lo hanno via via modificato e continueranno a farlo. Ma rimane comunque una potente attrazione: ogni anno i sentieri che attraversano la foresta sono percorsi da ben 17 milioni di persone. Sì, avete capito bene, 17 milioni. Il doppio di quanti, nello stesso periodo di tempo, visitano il Louvre. Ma non c’è da meravigliarsi, la foresta è pur sempre un museo en plein air. 

Copyright © 2025 Aboca Edizioni. Tutti i diritti riservati